presidente@angelinoonan.it

Via Carlo Lorenzini, 46 - 00137 ROMA

terza da sinistra Daniela Melis, a seguire Marco Tartaglia e Bruce Gelb, mescolati assieme ai soci, ai giovani ricercatori e ai pazienti

Salerno per due giorni centro del mondo delle RASopatie

Sveglia impostata alle 5 e 30 del mattino con musica da Amazon music. Alexa, elettrodomestico che ha cambiato la nostra vita, ci rassicura con la sua accogliente voce: “sono le 5e30 del mattino, si prevede tempo soleggiato, la minima sarà di 18 gradi, la massima di 24, a Roma”. Già, ma noi, io, Nàima e Margherita, dobbiamo andare a Salerno, come sarà li?  La sveglia squilla nell’altra casa, da Francesco e sua figlia Carolina. Alle 7 e 30 c’è il Frecciarossa che ci aspetta a Termini, oggi si parte e si sta via un paio di giorni.

La locandina del convegno

Due anni fa Daniela Melis ci fece leggere il suo progetto. Voleva studiare e capire se le persone che hanno una Rasopatia rischiano di avere una maggiore probabilità di contrarre una malattia autoimmune nella vita. Daniela è una pediatra esperta di malattie rare, vive a Napoli ma ha costruito il suo piccolo grande mondo di cura e ricerca a Salerno, un’ora di macchina ad andare e una a tornare. Ore consumate a pensare, a guardare i tramonti sul mare, a stare attenta ai tir, ad ascoltare decine di audiolibri, a parlare al telefono con i suoi due figli, a raccontarsi le giornate col marito medico che lavora a Napoli e di chilometri ne fa di meno.  Ogni tanto, qualche manciata di quei minuti Daniela la spende al telefono con Marco Tartaglia che a Roma segue e coordina la maggior parte degli studi molecolari sulle Rasopatie. Marco è la persona che per prima al mondo ha scoperto, venti anni fa, un gene difettoso di quella lista che, grazie a ricercatori come lui, si è capito essere la causa di una Rasopatia. Un gene dell’affascinante nome di PTPN11, un mozzicone di codice fiscale praticamente.

Dott. Paolo Alfieri neuropsichiatra dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma

Quando Marco ci ha fatto conoscere Daniela e parlato del suo progetto, ne ho discusso con i soci in assemblea e abbiamo deciso di mettere a disposizione un po’ dei soldi che raccoglievamo e darglieli, andando a colmare almeno parzialmente le spese della loro ricerca. In realtà sono soldi che ci danno le persone che hanno un reddito in Italia e che, quando vanno a presentare la dichiarazione, mettono una firma nel riquadretto “dona il 5 x mille a…”. C’è gente che sceglie noi, e noi abbiamo scelto questo progetto.

Ora, io che sono profondamente romano e, in quanto tale, profondamente pigro, pensavo: ok, girati i soldi, firmato l’accordo, il progetto partirà, qualcuno farà cose, arriveranno risultati, e dai dai. Qualche mese dopo ho capito invece che mi sarebbe toccato lavorare. E nemmeno poco. Vabbè, in fondo mi piace, lo posso fare, forse lo devo fare. Sennò che senso ha essere il presidente di questa associazione?

Giovani soci pazienti e giovani ricercatori

Uno dei compiti era quello di reclutare pazienti con almeno 5-7 anni di età, organizzare un prelievo di sangue di 7 fialette, spedirle a Salerno e attendere i risultati. In realtà dopo un anno di tentativi di ingaggio riusciamo a garantire la sola partecipazione di Margherita e Carolina ai prelievi, e anziché organizzare la raccolta delle provette e successiva spedizione, decidiamo di andare proprio a Salerno a incontrare Daniela e fare i prelievi direttamente in loco.

Ed ecco che a maggio del 2022 Francesco e io ci ritroviamo a Salerno, con le ragazze al seguito, e incontriamo finalmente Daniela nel suo mondo in riva al mare. È tutto un susseguirsi di calorose accoglienze, di sorrisi, di passeggiate al sole. Una giornata bellissima, e un incontro che fa scaturire una vera e propria amicizia con loro, le persone dell’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona e con lei, Daniela Melis.

Arriviamo così a quella mattina e a quella sveglia delle 5:30. E’ trascorso un anno da quel maggio 2022 e ci ritroviamo di nuovo a Salerno, stavolta siamo ospiti e co-finanziatori del convegno Patologie del pathway RAS-MAPK: l’importanza della rete multidisciplinare organizzato da Marco Tartaglia, Giuseppe Zampino e Daniela Melis. Stavolta, oltre a Margherita, Francesco e Carolina con noi c’è anche Nàima, che condivide con me le fatiche e le soddisfazioni del mestiere dell’associazionismo. Da Lecce ci ha raggiunti la socia amica Antonella Papa, col marito Cosimo e il figlio Alessio, si sono sobbarcati un viaggio non facile, tenendo conto dello stato dei collegamenti che purtroppo più in giù di Roma è assai problematico.

Quarta da sinistra Daniela Melis (ambulatorio di Genetica Clinica Pediatrica Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno), a seguire Marco Tartaglia (capo Ricerca di Genetica Molecolare e Genomica Funzionale OPBG Bambino Gesù di Roma) e Bruce Gelb (Cardiovascular Genetics Program at Mount Sinai hospital, New York), mescolati assieme ai soci, ai giovani ricercatori e ai pazienti

Il convegno ha un taglio molto scientifico, accademico, professionale. È stato dato appuntamento qui a tutto il mondo della ricerca sulle Rasopatie e sono presenti tutte le associazioni di pazienti italiane che se ne occupano. Sono raccontati gli avanzamenti nelle ricerche molecolari, capiamo che sono stati individuati ancora altri geni responsabili delle patologie della cascata RAS. Gli amici della neuropsichiatria infantile del Bambin Gesù di Roma presentano i risultati dei progetti di ricerca sul parental training, i ricercatori del Policlinico Gemelli portano un interessante rapporto sulle ricerche in tema di misurazione del dolore. Viene presentato un attento studio sul tema della fertilità e della trasmissibilità della malattia. Le associazioni presenti raccontano le loro storie di socialità, di inclusione/non inclusione, di accettazione della malattia, di attenzione al presente e di sguardo al futuro. In Italia, quando la parola passa alle associazioni mantenere i tempi sembra sempre impossibile. Da uno spazio previsto di 20 minuti si passa tranquillamente ad interventi di più di un’ora. Questo potrebbe essere comprensibile tenendo conto di quanto pathos portano le associazioni, ma io sono sempre più convinto che una buona comunicazione debba obbligatoriamente fare i conti con i tempi e debba essere condensata all’interno dello spazio che viene messo a disposizione. Per come la vedo io, travalicare significa non curarsi del grado di attenzione e non rispettare gli spazi degli altri. Noto che ancora, dopo tanti anni di associazionismo, l’idea di rappresentare a tinte forti il proprio vissuto di dolore è tuttora una modalità di porsi delle associazioni e dei pazienti. Io ho cambiato il mio stile da un po’, voglio raccontare la vita che scorre dietro ai problemi, voglio provare a trasmettere le esperienze di come si sopravvive a un dolore, voglio essere positivo e propositivo, anche perché i pazienti, mia figlia in primis, ci guardano, e si aspettano dosi di forza e coraggio.

Quando tocca a noi, visto l’andazzo, ci lasciamo prendere la mano e rubiamo ulteriori 5 minuti ai 20 previsti. Portiamo una narrazione diversa. Non snoccioliamo numeri, elencando quanti soci abbiamo, quante città copriamo, quante chat attive abbiamo. Men che meno parliamo di DNA, di geni, di patologie. Portiamo sul palco la sindrome di Noonan in carne e ossa: facciamo parlare Margherita e Carolina ma le intervistiamo ponendo loro le domande della vita di tutti i giorni. Cosa provavi quando eri bambina e ti dicevano che avevi la Sindrome di Noonan? Ti hanno mai bullizzato a scuola? Sei riuscita a fare gli studi che desideravi fare? Che lavoro vorrai fare nella vita? Come hai imparato a convivere con la Sindrome? Senti di avere accettato la situazione? Ti senti in pace con la vita? La partecipazione della platea è molto attiva e molti li vedo appassionarsi a questo botta e risposta da talk televisivo. Qualcuno applaude quando si sottolinea l’importanza dell’assistenza psicologica e si critica la mancanza di un servizio pubblico gratuito per quella forma di intervento. Alla fine del nostro intervento notiamo di aver avuto un tale riscontro che gli organizzatori stessi prendono la parola, fuori programma, per sottolineare con forza che queste narrazioni meriterebbero più spazio, anche e soprattutto in contesti come questi, dal taglio accademico e scientifico. Proprio perché, sostengono, i racconti della quotidianità rendono più evidenti le necessità dei pazienti, mettono in risalto le reali cose sulle quali porre maggiore attenzione. Perché in fondo, ogni ricerca ha lo scopo di migliorare la qualità di vita dei pazienti e quella qualità si misura ascoltando il loro racconto quotidiano.

I soci di Angeli Noonan

Quando usciamo dall’albergo per tornare a casa, dopo aver fatto scorta di foto, di selfie, di scambi di numeri di telefono, ci sentiamo tutti rinnovati. Margherita e Carolina è come se avessero fatto un coming out pubblico che le ha fatte uscire da una gabbia di isolamento. Noi tre adulti camminiamo leggeri per le vie di Salerno vecchia, sotto gli ombrelli di una pioggia leggera ma insistente, scambiamo poche parole ma da quello che ci diciamo ci sentiamo di aver contribuito un po’, nel nostro piccolo, ad avvicinare mondi che fanno spesso fatica a comunicare. I medici e i professori da una parte, i pazienti e i loro care-giver dall’altra. Guardiamo i telefoni e ce la prendiamo comoda, manca ancora un’ora al treno, c’è lo spazio di un caffè e di una coca zero, abbiamo altre due ore per riflettere e per gustarci la bella riuscita di questa missione.