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Intervista al ricercatore Simone Martinelli

Qualche settimana fa abbiamo avuto il piacere di incontrare Simone Martinelli, ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità ed esperto di genetica (PhD Department of Oncology and Molecular Medicine). Ne abbiamo approfittato per parlare di Dna, di mutazioni, di malattie genetiche. L’80% delle malattie rare ha un origine genetica. Ma quanti di noi sanno che cosa mette in relazione il nostro Dna con la malattia rara? Dove nasce il problema? Da queste semplici domande è nata l’idea di saperne di più. Ne è scaturita un’intervista che trascriviamo qui sotto. Se avrete bisogno di approfondire qualche passaggio assieme a Simone siamo disponibilissimi. Buona lettura, un po’ lunga, ma utile.
DomandaSimone, è vero che il nostro DNA non è identico a quello dei nostri genitori? Come mai?
Risposta – E’ vero, il nostro DNA differisce, anche se di poco, da quello dei nostri genitori. Questa differenza è dovuta alla presenza di mutazioni (varianti nella sequenza del DNA) insorte nella cellula uovo o nello spermatozoo che hanno formato lo zigote dal quale ci siamo sviluppati. Tali mutazioni vengono chiamate “de novo”. Altre differenze fra noi e i nostri genitori originano durante lo sviluppo embrionale e vengono definite “post-zigotiche”.
Domanda – Qual è il significato di queste mutazioni?
Risposta – Le mutazioni genetiche costituiscono uno dei motori dell’evoluzione. Senza mutazioni saremmo ancora batteri che nuotano nel brodo primordiale. Fu Darwin a comprendere e spiegare in modo chiaro l’importanza della variabilità genetica nell’evoluzione delle specie. Grazie ad essa le piante e gli animali che popolano la Terra sono stati in grado di sopravvivere al mutare delle condizioni ambientali e di evolversi.
Domanda – Queste mutazioni sono le stesse che causano le malattie genetiche?
Risposta – Le mutazioni avvengono in modo casuale. La maggior parte di esse viene immediatamente riparata nel nucleo della cellula. Fra quelle che sfuggono ai sistemi di riparazione la maggior parte sono “neutre”, cioè non hanno alcun effetto sulla vita dell’individuo e delle sue cellule; altre sono vantaggiose, basti pensare al famoso collo della giraffa che ha permesso ai primi esemplari dal collo lungo di raggiungere le foglie più alte sugli alberi, con un chiaro vantaggio sui propri simili. Infine, alcune mutazioni possono essere dannose perché causano il malfunzionamento di proteine necessarie alla vita cellulare e allo svolgimento di processi biologici essenziali. Questo tipo di mutazioni sono alla base di molte malattie genetiche, in particolare di quelle non associate ad anomalie nel numero o nella struttura dei cromosomi.
Domanda – Cosa sono i cromosomi?
Risposta – I cromosomi sono le unità di base in cui il DNA si organizza per conservare l’informazione genetica. Nell’Uomo i cromosomi sono 46, suddivisi in 22 coppie di autosomi e 1 coppia di cromosomi sessuali (XX nella femmina, XY nel maschio). In ciascuna coppia, un cromosoma è ereditato dalla mamma e uno dal papà. Nei cromosomi sono contenuti i geni, cioè le porzioni di DNA in grado di trasmettere l’informazione necessaria alla sintesi delle proteine. Ciascuna proteina è “codificata” da un particolare gene. La molecola che rende possibile il passaggio dell’informazione dal DNA alla proteina è un piccolo acido nucleico a singola elica, l’RNA messaggero.
Domanda – In cosa consiste l’“esame molecolare”, cioè il test genetico effettuato sul prelievo di sangue?
Risposta – L’analisi genetica consiste nel sequenziamento del DNA e può essere condotta su un singolo gene, su un gruppo di geni o su quello che viene chiamato “esoma”, cioè l’insieme dei geni presenti nel nostro genoma. Il sequenziamento dell’intero genoma, seppur possibile, è ancora di scarsa utilità a causa della nostra incapacità di interpretare l’enorme numero di varianti che emerge da questo tipo di analisi.
Domanda – Quanti sono i geni?
Risposta – Circa 20000, ma complessivamente rappresentano solo l’1-2% del nostro genoma.
Domanda – E il resto?
Risposta – Ottima domanda! Il resto del DNA è costituito dagli “introni” e dal DNA non codificante. I primi costituiscono circa un quarto del genoma e si trovano all’interno di ciascun gene, lo separano in frammenti detti “esoni” e vengono eliminati durante il processo di maturazione del RNA messaggero (“splicing”). Il DNA non codificante, fino a pochi anni fa, è stato considerato “DNA spazzatura”, cioè privo di alcuna funzione. In realtà oggi stiamo cominciando a capire che non è così e che questa porzione di DNA gioca un ruolo cruciale ad esempio nel controllo dell’espressione genica, cioè nel decidere quali geni vengono espressi in quali cellule e in quali momenti dello sviluppo. Tutto ciò non è sorprendente: è difficile che la natura selezioni e conservi qualcosa che non serve, sarebbe un grande spreco e violerebbe perfino i principi base della termodinamica. Tuttavia, la nostra comprensione del ruolo del DNA non codificante è ancora agli albori.
Domanda – Insomma, c’è ancora molto da scoprire.
Risposta – Già! E proprio questo è il bello. Mondi ancora sconosciuti si celano nello spazio ma anche dentro di noi. Le generazioni future avranno il compito di scoprirli.
Domanda – Potresti spiegare gli effetti di una mutazione genetica? Ad esempio, come può una mutazione causare una specifica patologia cardiaca?
Risposta – La questione è complessa. Non è solo il gene a essere importante, ma anche il tipo di mutazione e lo specifico “codone” (tripletta di DNA che codifica per un particolare aminoacido) colpito dalla mutazione. Alcune varianti del DNA sono in grado di inattivare completamente la proteina, altre fanno si che questa abbia un comportamento iperattivo, altre ancora fanno acquisire alla proteina una nuova funzione. E’ chiaro quindi che se la proteina è espressa nel cuore e svolge un ruolo chiave nello sviluppo cardiaco, una mutazione nel gene che la codifica può essere deleteria.
Domanda – in che modo studi le mutazioni genetiche? Fai ad esempio delle sperimentazioni che coinvolgono i pazienti?
Risposta – Scoprire il gene che, se mutato, causa la malattia è estremamente importante perché permette di giungere a diagnosi in tempi rapidi e di seguire il bambino nel modo migliore. Ciò non sarebbe possibile senza la collaborazione dei pazienti e dei loro familiari. Altrettanto importanti sono gli studi funzionali che permettono di far luce sui meccanismi molecolari alla base delle diverse caratteristiche cliniche della malattia. Questo aspetto è cruciale perché solo acquisendo tali informazioni è possibile identificare eventuali farmaci o cure utili a migliorare la qualità di vita della persona affetta da una malattia genetica. A questo scopo, nel nostro laboratorio presso l’Istituto Superiore di Sanità di Roma, utilizziamo sia modelli cellulari che modelli animali. Fra questi ultimi, è sorprendente come un piccolo verme invisibile a occhio nudo, il Caenorhabditis elegans (C. elegans) sia così simile, geneticamente parlando, all’Uomo. Studiare l’effetto di una mutazione in questo organismo modello ci sta permettendo di comprendere il ruolo delle mutazioni studiate e i danni che esse innescano durante lo sviluppo.
Domanda – Cosa può fare un paziente o un familiare o un’associazione di pazienti per aiutare le tue ricerche? In che modo si può essere utili?
Risposta – Il mio più sincero ringraziamento va ai pazienti, alle loro famiglie e alle associazioni. A volte il ricercatore ha bisogno di un nuovo prelievo di sangue o di effettuare, quando possibile, una biopsia cutanea. Rendersi disponibili a eseguire queste analisi è già di per sé un grandissimo aiuto. Purtroppo in Italia i finanziamenti pubblici per la ricerca sono quasi inesistenti e per un giovane ricercatore non è affatto semplice accedere a finanziamenti nazionali o internazionali. Per questa ragione, il contributo che le associazioni possono dare nel promuovere la raccolta di fondi per bandire borse di ricerca per giovani ricercatori è certamente di estrema importanza.